PROF. DOTT. LUIGI STEFANACHI

LA DIREZIONE DEL REPARTO DI STRUDA'




 

 

Documentario “Strudà 1976”



 

Nel curriculum biografico presente nel sito è segnalato che il 2 gennaio 1967 Stefanachi, già direttore di ruolo presso l’Ospedale Psichiatrico Provinciale di Catanzaro in Girifalco, divenne, in seguito a pubblico concorso, direttore di ruolo presso l’Ospedale Psichiatrico Interprovinciale Salentino di Lecce (Opis).

Il più anziano partecipante, ormai vicino al pensionamento, fece ricorso al Consiglio di Stato che annullò la procedura del concorso per la non esatta valutazione dei titoli, per cui il 3 gennaio 1970 il Cda conferì a Stefanachi l’incarico provvisorio della Direzione sanitaria dell’Opis, sino all’espletamento delle operazioni di rivalutazione dei titoli del concorso anzidetto. Il ricorrente risultò vincitore per cui Stefanachi, privo di un rapporto di impiego stabile, avendo superato il limite di età previsto per i pubblici concorsi, fu nominato dal CdA con delibera n.1192, approvata dal Comitato Regionale di Controllo, Primario psichiatra di ruolo nella sede distaccata di Strudà dall’1 dicembre 1973, ruolo che non rientrava tra quelli da conferire obbligatoriamente per pubblico concorso ai sensi dell’art.2 della Legge n.431 del 1968.

Stefanachi andava quindi a svolgere la nuova attività a Strudà, nel moderno complesso edile dove, in qualità di direttore dell’Opis, il 20 febbraio 1967 lui stesso aveva già trasferito 161 uomini lungodegenti a causa dell’iperaffollamento nei reparti di Lecce.

Al suo arrivo a Strudà, il reparto ospitava 161 infermi, costituiti prevalentemente da schizofrenici cronici paranoidei di varia entità, oltre a sei epilettici con irregolarità comportamentali e difficoltà deambulatorie di tipo spastico da cerebropatia infantile, a quattro giovani ritardati psichici rifiutati dai familiari perché emigrati all’estero, a tre con decadimento psichico arterosclerotico, da giovani contagiatisi di lue che, in seguito a trattamento penicillinico, non presentavano più da anni alcuna alterazione sierologica, a due alcoolisti cronici con turbe disforiche e stati confusionali e a sei distimici bipolari. Un degente presentò alla visita segni neurologici di compressione midollare per cui fu trasferito all’Opis perché si provvedesse al ricovero nel reparto di neurologia al  “V. Fazzi”. In seguito alle dimissioni, che poi determinavano il trasferimento di altri infermi dall’Opis o ricoveri volontari, il numero variava nel tempo.

Non ci fu mai un evaso.

Il servizio sociale era svolto dalla sola Marisa Marra, valida collaboratrice nel mantenere i rapporti pazienti-familiari delle tre province consorziate e nel curare i loro aspetti economici.

Trasferita dopo circa un anno al Cim di Tricase, Marra venne sostituita da Annamaria Quinto: con lei e con il capo del servizio sociale, fecero il tirocinio Vita Mairo e Lea De Giorgi.

Gli infermieri erano quasi tutti gli stessi che Stefanachi aveva trasferito, unitamente ai degenti, da Lecce a Strudà, perché residenti nello stesso paese o nei paesi limitrofi. Le suore di Ivrea alloggiavano in ospedale, nell’appartamento da sempre a loro destinato: stabilivano il vitto e provvedevano, unitamente ai cuochi, nell’attrezzata cucina, alla preparazione e distribuzione dei pasti nell’ampio refettorio, mentre altri dipendenti, tra cui due donne, erano addetti alla pulizia.

I dieci chilometri di distanza dalla sede centrale venivano superati grazie al giornaliero servizio logistico mediante automezzi, che trasportavano derrate alimentari, biancheria e medicinali.

Comprensibili erano gli stati d’animo negativi vissuti da Stefanachi con il trasferimento, soprattutto perché intravedeva la fine della sua carriera con l’isolamento. Ma l’appagamento che attenuò il disagio psicologico fu determinato, non soltanto dagli attestati di stima da parte di colleghi conosciuti in sedi universitarie ed ospedaliere, quanto, e soprattutto, dalla nomina a docente nella Scuola di Specializzazione dell’Università di Bari, con inizio nell’anno accademico 1975/76, per impartire lezioni pomeridiane sul tema “Psichiatria in rapporto con la patologia internistica”.

A Strudà Stefanachi decise di attuare quanto all’Opis da direttore aveva potuto realizzare relativamente, a causa della pletora dei degenti e dell’ubicazione dell’ospedale in una zona abitata e con attività commerciali, e cioè far curare adeguatamente e scrupolosamente gli infermi per dare loro, quando sostanzialmente migliorati, la possibilità di uscire dagli inadeguati reparti per instaurare rapporti interpersonali e svolgere vita sociale.

Fu piuttosto facile ottenere a Strudà la perfetta attuazione della terapia prescritta, sia per la già conosciuta preparazione tecnica degli infermieri, sia perché tra infermieri e primario, alla stima esistente, si aggiunse la componente affettiva, e gli infermi, sempre cordialmente trattati, migliorando, fecero parte dell’intera famiglia.

Contemporaneamente Stefanachi iniziò a fare amicizia con gli abitanti del paese, ai quali fece presente che, sotto la sua responsabilità, avrebbe fatto uscire gli infermi dall’ospedale a piccoli gruppi guidati da un infermiere o anche da soli, perché conoscessero il paese e la gente che li ospitava.

D’accordo con il cappellano Don Francesco Tondo, gli abitanti di Strudà iniziarono a frequentare la messa feriale e in numero maggiore quella festiva.

Superati da parte degli strudesi i pregiudizi nei riguardi della pericolosità degli ammalati di mente, Stefanachi fece partecipare i degenti alle manifestazioni civili e religiose.

Tutto questo accadeva a Strudà proprio nel periodo in cui in Italia esisteva un notevole contrasto da parte di Psichiatria Democratica, con la partecipazione dei mass media, nei riguardi delle concezioni scientifiche, dei metodi di cura e dell’istituzione manicomiale, per cui la psichiatria e l’assistenza psichiatrica venivano da molti contestate.

L’ingegnere Cesare Barrotta, strudese, seguì con molto interesse questo processo innovativo e con entusiasmo propose all’amico Stefanachi la realizzazione di un documentario per il quale lui stesso avrebbe interessato l’associazione Cine Club Fedic Bari. Stefanachi accolse con piacere la proposta e, con l’immancabile presidente dell’associazione Bonifacio Saponaro, nel 1976 fu realizzato il filmato presente in questo sito.

Il documentario fu proiettato la prima volta nel teatro dell’Opis, poi a Bari nell’aula della Clinica Neurologica su richiesta del direttore Prof. Eugenio Ferrari, in vari congressi di psichiatria e fu trasmesso da emittenti televisive pugliesi.

Il reparto fu visitato da alunni delle scuole medie inferiori di Strudà e da psichiatri amici di Stefanachi provenienti da Bari e da Catanzaro. Particolarmente significativa fu la visita della dottoressa Diana Musolino, consigliere delegato dell’amministrazione provinciale di Catanzaro nell’Ospedale di Girifalco al tempo in cui Stefanachi era stato direttore.

Frequente era l’ingresso delle signorine e dei giovani di Strudà che si interessavano ai degenti, organizzando anche balli e giochi di vario genere.

Per tematiche psicologiche si intratteneva in alcuni periodi Daria Ricci, iscritta alla facoltà di Magistero dell’Università di Lecce.

Intanto, nel gennaio 1975, le organizzazioni sindacali Cgil e Uil diffusero un manifesto che denunciava le condizioni precarie in cui versavano gli infermi nei reparti dell’Opis a Lecce.

Stefanachi, ex direttore, che non aveva mai avuto alcun rapporto con i sindacati, considerato valido il contenuto, ritenne opportuno scrivere sotto il manifesto affisso nel reparto di Strudà: “Solidarizzo con voi e sono a disposizione per ogni azione concreta mirante ad eliminare quanto di disumano avviene nell’Opis”.  Questo manifesto il 28 gennaio 1975 fu pubblicato anche da “L’Avanti”. Da quel momento altri giornali scrissero in merito, intervistando Stefanachi ed altri operatori al fine di conoscere le reali condizioni strutturali del nosocomio di Lecce e le aspettative future nei riguardi dell’assistenza psichiatrica che finalmente doveva essere umanizzata.

Se gli amministratori dell’Opis avessero ritenuto realmente che nel nosocomio, da loro gestito, non ci fossero stati aspetti strutturali disumani, come sostenuto dai sindacati Cgil e Uil e da Stefanachi che, per aver diretto l’ospedale per circa sette anni, poteva essere ritenuto corresponsabile, e, invece di ricorrere a sterili discussioni, avessero ammesso davanti a sindacati e giornalisti, guidati dal prof. Sinisi, da un anno nuovo direttore, almeno le deficienze maggiori, alcune delle quali inveterate e quindi non attribuibili alla gestione attuale, si sarebbe potuto aprire un tavolo di discussione per migliorare la situazione esistente. Praticamente quello che avvenne nello stesso periodo a Reggio Calabria, dove il Prof. Scarcella, direttore sanitario del locale ospedale psichiatrico, portò i giornalisti in giro per il suo nosocomio denunciando carenze e inefficienze, ma, a differenza di Stefanachi, non fu oggetto di alcun provvedimento disciplinare.

All’Opis, invece, soprattutto per non creare indignazione nell’opinione pubblica e risentimento nel parentado degli infermi, gli amministratori ritennero opportuno colpire Stefanachi, nonostante le richieste strutturali da lui avanzate ed in parte realizzate nell’ambito di un’assistenza dinamica e moderna, evidentissima in quel periodo a Strudà. Infatti, con delibera n. 108 del 7 febbraio 1975, decisero la sua sospensione cautelativa dal servizio per sei mesi, ed il deferimento al Consiglio di disciplina “per aver ritenuto veritiere le inesattezze e falsità contenute nel manifesto sindacale e per infedeltà all’ente, con l’invito a far pervenire le discolpe entro il termine di dieci giorni”. Le discolpe non furono accettate e Stefanachi ebbe i sei mesi di sospensione decorsi i quali tornò a svolgere l’attività a Strudà.

Il 22 gennaio 1976 fu fissata dalla Commissione di disciplina l’udienza di discussione, successivamente rinviata, non certo a richiesta del primario, e neppure rifissata. Dopo quattro anni, e precisamente il 18 marzo 1980, ci fu la nuova convocazione, presieduta dal magistrato Silvio Memmo, alla quale Stefanachi si presentò con l’avvocato Fulvio Rizzo, che precedentemente aveva fatto pervenire alla Commissione le ampie deduzioni ed osservazioni scritte, in cui si eccepiva l’estinzione del procedimento disciplinare ai sensi dell’art. 120 del D.P.R. 10/1/1953 n.3 che espressamente recitava: “Il procedimento disciplinare si estingue quando siano decorsi 90 giorni dall’ultimo atto senza che nessun ulteriore atto sia stato compiuto”, contestando anche nel merito gli addebiti rilevati.

Nella seduta prese la parola solo Stefanachi, dichiarando che da psichiatra si era sempre comportato con deontologia ed etica professionale, spinto dall’empatia verso gli ammalati di mente che, vivendo in una realtà abnorme, erano deficitari nell’autodeterminazione e nell’autosufficienza. Sostenne che nell’attività di direttore sia le proposte che i pareri negativi, espressi nell’ambito di ciò che la legge gli consentiva, furono dettati esclusivamente dalla tutela dell’ammalato mentale e della sua dignità e che avrebbe continuato ad agire nel loro interesse, perché gli ammalati  mentali sono incapaci di difendersi.

Su  richiesta del presidente Memmo, quanto riferito verbalmente dall’interessato fu messo per iscritto.

La situazione si risolse a favore di Stefanachi perchè il suo comportamento fu considerato deontologico. La punizione adottata fu quidi ritenuta dal primario un abuso di potere, ingiustificata e irriconoscente. Infatti non occorreva alcuna azione cautelare nei riguardi dell’ex direttore, che chiaramente intese solidarizzare con i sindacati soltanto al fine di far realizzare dai gestori dell’Opis quanto lui da solo non era riuscito ad ottenere per rendere dignitosa, e quindi umana, la vita degli infermi. Inoltre non si poteva ipotizzare alcuna offesa all’ente, e in particolare agli amministratori.

Invece, il provvedimento cautelare ed il deferimento al Consiglio di disciplina per Stefanachi aveva chiaramente l’impronta di quanto i politici usano spesso fare: attribuire ad altri le proprie inadempienze, quando sono chiamati in causa dai mass media per carenze amministrative.

Del resto, a conferma di quanto in Opis avveniva di deplorevole sotto vari aspetti, il 7 febbraio 1976 numerosi infermieri, guidati da Romolo Caputo, organizzarono una manifestazione, aperta alla cittadinanza, all’Hotel President, per segnalare le carenze igieniche che nei reparti compromettevano non soltanto la salute, già precaria, dei degenti ma anche la propria, e nello stesso tempo per illustrare le illegittimità esistenti nel regolamento organico dell’ente. Con acclamazione fu chiamato alla presidenza il prof. Stefanachi. Parteciparono diversi giornalisti, come risulta dagli articoli presenti nel sito.

Il 13 maggio 1978 fu promulgata la legge 180, “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari ed obbligatori”: in essa si sancì, in sintesi,  il superamento degli ospedali psichiatrici e la loro diversa utilizzazione (art.7), si stabilì che la fase di ricovero dovesse essere gestita dagli enti ospedalieri, come per tutte le altre malattie del corpo, e le fasi della prevenzione e della riabilitazione da strutture dipartimentali diffuse sul territorio.

Per questa legge innovativa fu necessario valutare per ogni ammalato la condizione psichica associata alla condizione economica e familiare al fine di determinare la dimissione definitiva o la sistemazione in case-famiglia, case-alloggio, case di riposo pubbliche o private.

In ciò fu molto valida la collaborazione dell’assistente sociale Giulia Scardia che dal 1978 fu assegnata a Strudà a giorni alterni.

All’inizio del 1980 Stefanachi avvertì l’accentuazione del deficit visivo determinato da maculopatia degenerativa ad entrambi gli occhi e pertanto, essendo nell’impossibilità di recarsi a Bari per svolgere nelle ore pomeridiane le lezioni al Corso di specializzazione di psichiatria, fu costretto a terminare nell’a.a. 1981/1982  l’attività didattica iniziata nel 1975.

Tutta l’attività nel reparto di Strudà è stata analizzata dalle studentesse strudesi Fabiana Garrisi,   Veronica Carrozzi,  Francesca Pastore e Manuela Reggio, per cui nell'anno accademico 1999-2000, su indicazione del Prof. Luigi Za e del Prof. Antonio Facchini, hanno realizzato per la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università degli Studi di Lecce la ricerca di Politica Sociale dal titolo "Strudà: tra malattia mentale e integrazione sociale".

Poiché a Strudà, a causa delle numerose dimissioni, l’attività sanitaria si era notevolmente ridotta, Stefanachi partecipò alla graduatoria per l’assegnazione dei medici al Servizio di Psichiatria di diagnosi e cura dell’ospedale di Maglie. Essendo risultato il primo in graduatoria, il 20 giugno 1984 gli fu affidato il primariato con la collaborazione del dott. Pompilio Palmariggi.

Dopo un periodo di convalescenza in seguito ad un intervento neurochirugico per la rottura di un aneurisma, in accoglimento ad istanza di trasferimento presentata dall’interessato per ragioni di salute, con delibera della Usl fu disposto a partire dal 22 marzo 1988 il suo rientro presso l’Opis, dove Stefanachi ha espletato l’attività con la qualifica di primario psichiatra a tempo pieno, fino al pensionamento raggiunto l’1 settembre 1996.

E’ andato in pensione con l’orgoglio per essere stato allievo del Prof. Vito Longo e soddisfatto per avere con dedizione curato, rispettato e difeso gli ammalati di mente.

 

 

28 gennaio 1975

  

 

  

30 gennaio 1975

 

20 febbraio 1975

 

 

6 febbraio 1975

 

 

 

4 marzo 1975 

 

 

26 febbraio 1975

 

 

 

17 febbraio 1976

 

13 marzo 1975

 

 

 

 

 

 

  

 

2 marzo 1976

 

 

15 giugno 1976

 

 

 

 

27 aprile 1976

 

 

  

 

23 novembre 1976

 

 

 

 

 

 

5 febbraio 1977

 

12 aprile 1977 

 

 

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